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lunedì 27 aprile 2020

LOCKDOWN (PRIMA PARTE): L'ITALIA, UN INTERO PAESE TEMPORANEAMENTE CHIUSO





Firenze, 27 aprile 2020


LOCKDOWN (PRIMA PARTE): L'ITALIA, UN INTERO PAESE TEMPORANEAMENTE CHIUSO


Siamo in guerra contro un nemico invisibile e sconosciuto. Morti, malati ed un intero Paese in quarantena. E superata l’emergenza sanitaria, aleggia lo spettro che il dopo possa essere anche peggio: le macerie (soprattutto economiche e sociali) saranno ovunque e le ferite degli italiani dureranno a lungo. Una catastrofe inaspettata e senza precedenti

Eccoci qua, come catapultati in un incubo dal quale non riusciamo a svegliarci. Tutti (o quasi) silenziosamente barricati in casa, assediati da questo coronavirus che si rivela un nemico invisibile e subdolo, increduli davanti agli avvenimenti incalzanti di queste ultime settimane.

Il Paese sembra essere piombato in un profondo e oscuro abisso dal quale nessuno sa se, quando e come ne uscirà. Come in Virus letale, il film di Wolfgang Petersen del 1995, gli italiani osservano sbalorditi ed impotenti dalle loro finestre (e attraverso i mass media) il diffondersi nella popolazione di un misterioso e sconosciuto morbo.

Analogamente a quanto accade ne I Sopravvissuti, la serie televisiva britannica del 1975 di ambientazione post apocalittica, ci sentiamo dei superstiti mentre ascoltiamo il consueto bollettino serale della Protezione Civile che snocciola i numeri dei decessi  e dei nuovi contagiati.

Tutti noi sappiamo che questa vicenda non sarà breve e che gli strascichi e le ferite li porteremo per anni. Ovviamente nelle prime settimane siamo stati concentrati sull’emergenza sanitaria, sul numero esponenziale delle vittime di questa inaspettata battaglia e sui malati stipati ovunque: nei nosocomi che sembrano esplodere ogni giorno di più, negli ospedali da campo frettolosamente creati e negli alberghi convertiti in poche ore in ricoveri per degenti. Soprattutto colpisce il numero di anziani deceduti, una cifra che ancora nessuno è stato in grado di quantificare con precisione perché si tratta di persone tristemente intrappolate nella solitudine delle proprie abitazioni o nel silenzioso abbandono delle anonime residenze sanitarie assistite alle quali erano state fiduciosamente affidate.

E anche se oggi ci pare di vedere la luce in fondo al tunnel e si comincia a parlare di “fase 2”, ogni giorno continuano a morire centinaia di persone, soprattutto al Nord. I medici sembrano impotenti di fronte ad una malattia sconosciuta e così altamente letale.

L’alto grado di contagiosità del coronavirus ha costretto le autorità a sopprimere da oltre un mese tutti i funerali e i riti religiosi. E così, chi rimane in vita non può neppure salutare per l’ultima volta i propri cari. Coloro che sono in quarantena poi non hanno neppure il tempo di piangere i propri defunti perché devono occuparsi della propria salute e di quella dei familiari sopravissuti.

Dappertutto le carceri sovraffollate danno segni di insofferenza. Lo scorso mese, con inquietante sincronismo, in quasi tutte le case di detenzione sono esplose dalle rivolte. Le guardie penitenziarie hanno cercato di arginare le proteste violente durate per giorni ma alcuni detenuti sono riusciti ad evadere.

Soprattutto in seguito alle proteste dei reclusi, si è parlato a lungo di come contenere l’impatto devastante del Covid-19 all’interno degli istituti carcerari. Si è pensato pertanto di ridurre il numero dei detenuti ricorrendo all’istituto degli arresti domiciliari. Si è considerata anche l’evenienza di ampliare l’impiego dei braccialetti elettronici. Le prime stime hanno parlato di una popolazione di almeno seimila persone potenzialmente interessate da queste misure. Certo non sarebbe la liberazione di massa dei prigionieri disposta lo scorso mese in Iran, ma è comunque una scelta che ha sollevato molte perplessità. E c’è chi si è affrettato ad etichettarla come “indulto mascherato”.

Trascorsa l’emergenza delle rivolte nei penitenziari però non si è più parlato del problema del sovraffollamento degli istituiti di pena. Ad oggi non è chiaro se e quanti detenuti abbiano concretamente beneficiato di questi strumenti deflattivi del numero dei detenuti ristretti nei carceri. Per fortuna, negli istituti penitenziari non si è verificata la temuta esplosione dell’epidemia paventata e i casi di deceduti per covid-19 sono rimasti circoscritti a due.

Rimanendo sul versante giustizia, dal 9 marzo, in tutti i tribunali, le udienze - salvo alcune ritenute urgenti ed improrogabili - sono state rinviate in blocco. Gli ospedali e gli ambulatori hanno rimandato a date da destinarsi tutti gli interventi e le visite non urgenti. Dal 5 marzo, le attività didattiche sono state soppresse; solo alcuni giorni dopo, i negozi che non vendevano beni di prima necessità sono stati serrati e gli uffici pubblici chiusi al pubblico.

In questo periodo di lockdown sono rimasti aperti solo gli alimentari e le farmacie. Solo dopo Pasqua ha cominciato a riaprire qualche esercizio commerciale, come le librerie. Davanti a queste poche attività consentite in queste ultime settimane, ci siamo abituati a vedere file interminabili di zombi con guanti e mascherine (almeno i fortunati che le hanno trovate) che, distanziati di almeno un metro l’uno dall’altro, attendono silenziosi il proprio turno. Come in ogni emergenza che si rispetti, soprattutto nel primo periodo, non sono mancate scene di panico e di isteria collettiva con i supermercati presi d’assalto ed interi scaffali svuotati.

Man mano che le settimane trascorrevano noi tutti ci siamo abituati a restare “reclusi” in casa, adeguandoci alle nuove regole, consapevoli della gravità della situazione. Certo, il divieto di “evadere” dalle proprie abitazioni è stato posto per esigenze sanitarie, ma quando questa brutta vicenda sarà terminata, credo che non mancherà chi porrà qualche dubbio sulla legittimità delle forti compressioni dei diritti di libertà imposte in queste ultime settimane.

Ma ancora non è il momento di fomentare polemiche. Se, infatti, non siamo piombati in uno scenario paragonabile a quello affrontato dai nostri nonni e bisnonni in tempo di guerra, poco ci è mancato. Anche il consueto rissoso clima politico italiano - almeno nella prima parte di questa emergenza - è sembrato cambiare. Le varie anime del governo si sono mosse inaspettatamente compatte nell’affrontare questa emergenza sanitaria, mentre le opposizioni hanno abbassato i toni. E se non si è trattata questa di unità nazionale, beh credo che le sia assomigliato moltissimo. Soltanto in questi ultimi giorni - proprio con il rallentamento dell’emergenza sanitaria - si è visto riaccendere alcune polemiche da parte dei due principali leader di opposizione e sono esplose anche delle scintille all’interno della compagine governativa.

Va detto che il Governo alla vigilia della “fase 1” si è trovato ad affrontare una situazione inedita e, dopo una iniziale fase di inerzia, ha tentato di riacciuffare un Paese moribondo. Ha deciso di farlo adottando misure draconiane ed emanando provvedimenti senza precedenti, scommettendo tutto sulla salute dei cittadini e sulla tenuta del sistema sanitario nazionale. Solo in questi ultimi giorni l’epidemia sembra che timidamente si stia arrestando e si sta iniziando a parlare di “fase 2”; chiunque può capire come queste durissime misure siano concretamente servite a salvare la vita a migliaia di italiani. Ma ora che si scorgono dei risultati in termini di riduzione del numero dei contagiati e dei malati (soprattutto quelli che richiedono l’ospedalizzazione), è necessario cominciare a programmare, senza indugio, la ripresa economica.



Noi tutti abbiamo la consapevolezza che quando questa emergenza sanitaria sarà terminata, le macerie (soprattutto economiche e sociali) saranno ovunque e le ferite ci accompagneranno a lungo.  Credo che l’Italia, da sola, difficilmente riuscirà a pagare il costo di un Paese ormai bloccato da quasi due mesi. Questo è il momento di vedere l’Europa davvero unita e solidale nei nostri confronti, mentre stiamo affrontando una battaglia inaspettata e senza precedenti. Penso che proprio sulla ricostruzione del post covid-19 dovrà fondarsi veramente l’Unione Europa, altrimenti si dissolverà quel progetto visionario dei nostri nonni a Ventotene, il sogno lungimirante di libertà della generazione di Erasmus e la speranza di milioni di persone di sentirsi un popolo.

di Sonia Modi
Riproduzione vietata

sabato 25 aprile 2020

75° ANNIVERSARIO DELLA LIBERAZIONE: INSIEME, SE PUR DISTANTI





Firenze, 25 aprile 2020



75° ANNIVERSARIO DELLA LIBERAZIONE: INSIEME, SE PUR DISTANTI

Un 25 aprile al tempo del coronavirus: virtuale e virale, tra canti dai balconi ed omaggi sui Social


uesta festa della Repubblica, per la prima volta in settantacinque anni, è stata decisamente diversa da tutte le altre: nessun corteo, nessun discorso, nessuna cerimonia, nessuna manifestazione, ma tutti i cittadini sono stati invitati dalle autorità a partecipare collegati sui Social, uniti dagli hashtag: #bellaciaoinognicasa, #iorestolibera e #iorestolibero.

Per il 25 aprile 2020 il Capo dello Stato era atteso in Toscana, ma la pandemia l’ha trattenuto lontano dalla nostra Regione. Così il Presidente è rimasto nella Capitale; nella mattina ha reso omaggio al Milite Ignoto all’Altare della Patria in una forma quasi privata. Si è recato da solo, senza autorità al seguito, né civile, né militare. In cima alla scalinata l’hanno atteso due corazzieri, mentre un trombettiere dei carabinieri ha suonato “Il Silenzio”.

Per celebrare la festa della Liberazione, le frecce tricolori dell'Aeronautica hanno sorvolato più volte Roma, con la tradizionale scia bianca, rossa e verde. Il passaggio dei caccia è stato salutato dal silenzio irreale della Capitale deserta per la quarantena.

Anche nel resto del Paese il 75simo anniversario dalla liberazione nazifascista è stato festeggiato nel pieno rispetto del lockdown: ogni fiore, ogni corona di alloro è stato deposto dalle autorità in diretta tv e rilanciato dai Social.

Ma l’emergenza sanitaria non ha certo fermato la voglia degli italiani di festeggiare. Le piazze virtuali hanno visto la loro partecipazione in massa.

Alle 14:30 si è tenuta una manifestazione virtuale, iniziata con l’”Inno di Mameli”, trasmessa in streaming dalla pagina Facebook “25 Aprile 2020-Io Resto Libero”, sulla pagina YouTube e sul sito ”25aprile2020.it”.

Lo streaming si è chiuso alle 15:00 con la canzone “Bella Ciao”, consegnando un ideale testimone all’iniziativa dell’ANPI che ha invitato gli italiani dai balconi e dalle finestre ad intonare la canzone simbolo della lotta partigiana. E in migliaia - ognuno dalla propria casa, distanti ma simbolicamente uniti - hanno risposto all’appello, cantando e sventolando il tricolore. Immancabili sono poi stati i selfie e i filmati del flash mob postati e rimbalzati per tutta la giornata sui Social.

In questo periodo in cui, per motivi non bellici ma sanitari, si sta assaporando in tutto il Paese l’amaro della privazione della libertà, il ricordo di quei periodi lontani ci è sembrato a tutti più vicino.
 
E così in molti hanno visto delle similitudini tra questo momento storico e quello del 1945. Ma forse ci sono meno punti in comune di quanto non sembri: all’epoca gli italiani, armati, si fronteggiavano gli uni contro gli altri. Adesso, invece, siamo tutti uniti contro un unico nemico: il virus.

Quello di ieri, dunque, è stato un anniversario diverso da tutti quelli precedenti: gli italiani hanno festeggiato con la liberazione nel cuore e il dolore per i morti di allora, quelli della Resistenza, e quelli attuali, cioè quelli del coronavirus.

di Sonia Modi
Riproduzione vietata