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mercoledì 3 marzo 2021

TUTTA UN’ALTRA STORIA... SE SOLO QUELLA INTERPRETAZIONE DELL’ANTITRUST EUROPEA NON FOSSE STATA ERRATA



Articolo pubblicato su:


https://www.linkiesta.it/author/sonia-modi/

https://www.linkiesta.it/blog/2021/03/tutta-unaltra-storia-se-solo-quella-interpretazione-dellantitrust-europea-non-fosse-stata-errata/

 

 Firenze, 3 marzo 2021

 

TUTTA UN’ALTRA STORIA... SE SOLO QUELLA INTERPRETAZIONE DELL’ANTITRUST EUROPEA NON FOSSE STATA ERRATA

 

L’Italia aveva ragione sulla vicenda Tercas. Lo ha sancito - definitivamente - la Corte di Giustizia Europea

 


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i saranno pure voluti sei anni, ma finalmente l’Italia ha ottenuto ragione. E’ del 2 marzo la decisione della Corte di Giustizia Europea che ha ritenuto che l’interpretazione restrittiva della Commissione Europea sull’intervento del Fondo Interbancario nel caso Tercas fu frutto di un “errore di diritto”. Ma se l’interpretazione che a suo tempo dette l’Italia non fosse stata contestata dalle autorità europee, la storia bancaria italiana di questi ultimi anni sarebbe stata profondamente diversa.

L’intera vicenda è complessa e richiede particolari competenze tecniche, tuttavia proviamo sinteticamente a ricostruirla. Facciamo un passo indietro e torniamo al 2014, a quando il Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi (FITD) tentò, sostenendo la Popolare di Bari, il salvataggio delle Casse di Teramo (Tercas) all’epoca in forte crisi.

L’anno seguente però l’Antitrust Europea dichiarò illegittimo quell’intervento, censurandolo come aiuto di Stato, e ordinò il tempestivo recupero delle somme erogate. Il Fondo si adeguò ma il nostro Paese, ritenendo questa ricostruzione europea illegittima, ricorse al Tribunale Europeo. La decisione a noi favorevole giunse però solo nel 2019. Oggi poi è arrivata anche un’altra pronuncia che dà ragione all’Italia, quella della Corte di Giustizia Europea, con ciò chiudendo l’intera vicenda Tercas.

Ma perché questa pronuncia è così esplosiva e, soprattutto, cosa c’entra questo caso specifico con il governo Renzi e con la questione della crisi di Banca Etruria, Banca Marche, CariChieti e CariFerrara?

Se ora sappiamo che quel diktat europeo era sbagliato, quando nel novembre 2015 il governo Renzi si trovò ad affrontare la difficile crisi delle quattro banche, la pronuncia della Corte di Giustizia Europea non era ancora uscita e l’unica linea interpretativa da seguire era quella dell’Antitrust Europea.

E fu proprio quella interpretazione che impedì di sostenere economicamente le quattro banche. Il mancato aiuto provocò la risoluzione degli Istituti, con tutto ciò che ne seguì: azzeramento delle azioni e delle obbligazioni subordinate e, sopratutto, anni di sofferenze per i risparmiatori di quelle banche. Poi, a catena, ci furono ricadute negative sui crediti detenuti da tutte le banche. Tutto ciò contribuì a deprimere ulteriormente i patrimoni degli istituti bancari e la loro capacità di erogare credito, con forte impatto sui privati e sull’economia del nostro Paese.

Senza considerare poi che gli istituti italiani pagarono, attraverso il fondo di risoluzione, circa 4,7 miliardi di euro per la ricapitalizzazione delle banche; si calcola invece che l’esborso sarebbe stato notevolmente inferiore se  l’intervento del Fondo Interbancario fosse stato autorizzato tempestivamente.

Per aiutare i risparmiatori che avevano visto nell’arco di una notte azzerati i sacrifici di una vita, il governo Renzi istituì il “Fondo di solidarietà”. Questo fondo - che tra l’altro rimborsò solo una parte degli stessi, scontentando tutti gli altri - costò ai contribuenti circa 200 milioni di euro.

Ma tutta questa vicenda ebbe anche un importante risvolto politico: gran parte della fama negativa che si è creata attorno al governo Renzi ebbe inizio proprio da questa vicenda, dagli intrecci tra Maria Elena Boschi e Banca Etruria e dalle note vicissitudini giudiziarie del padre della leader di Italia Viva, all’epoca vicepresidente di Banca Etruria.

Renzi finì per passare come il responsabile di tutte le disgrazie che si son abbattute sui risparmiatori delle quattro banche, con i quali tutti gli italiani immediatamente si immedesimarono. Di lì a poco la fulminea, vertiginosa ed incontrastata ascesa di Matteo Renzi si arrestò senza più riprendersi veramente.

La vicenda si intreccia anche con un altro aspetto politicamente delicato: il ruolo di vertice dell’Antitrust - allora come adesso – è ricoperto da Margrethe Vestager, commissario che nel corso di questi anni ha prodotto altre decisioni bocciate a loro volta dalla Corte di Giustizia Europea. A breve dovremo incontrarla anche per un’altra delicatissima questione, quella del “dossier Alitalia”.

Della vicenda Tercas, possiamo starne certi, ne sentiremo parlare a lungo. Ci saranno sicuramente dei risvolti giudiziari, probabilmente molto importanti e ricchi di conseguenze. Nei prossimi giorni si delineeranno e si capiranno le responsabilità di Bruxelles. Gli avvocati riusciranno a farci comprendere chi dovrà concretamente pagare gli ingenti danni causati da questa errata decisione. Ma questo è un altro capitolo, tutto ancora da scrivere.

Adesso sappiamo che il Fondo Interbancario sarebbe potuto intervenire per aiutare queste banche; col sostegno del Fondo, questi istituti di credito non sarebbero stati assoggettati alla procedura di risoluzione e i risparmiatori non avrebbero visto azzerati i propri investimenti e, forse, la sorte del governo Renzi sarebbe potuta essere diversa. Tutta un’altra storia, dunque.

 

di Sonia Modi

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martedì 29 dicembre 2020

VACCINATION DAYS: L’ATTESA SVOLTA NELLA LOTTA CONTRO IL COVID



 

 

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https://www.linkiesta.it/author/sonia-modi/

 https://www.linkiesta.it/blog/2020/12/vaccination-days-lattesa-svolta-nella-lotta-contro-il-covid/

 

Firenze, 29 dicembre 2020

 

 VACCINATION DAYS: L’ATTESA SVOLTA NELLA LOTTA CONTRO IL COVID

Dopo un anno martoriato dalla pandemia, alla fine si intravede una luce in fondo al tunnel. E se la strada per sconfiggere il Coronavirus è ancora molto lunga, la speranza è già nei nostri cuori

 

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a campagna di vaccinazione contro il Covid - dopo la consegna dei vaccini per Santo Stefano - è ufficialmente iniziata, in tutti i Paesi dell’Unione Europea, domenica 27 dicembre.

Si sono differenziati solo Ungheria e Slovacchia, che hanno cominciato a vaccinare i propri cittadini a partire dal 26, e la Germania che, sempre nella giornata di sabato, ha vaccinato, come evento simbolico, una nonnina di 101 anni, ospite di una residenza per anziani di Halberstadt (Sassonia-Anhalt). La campagna Vaccination days però è proseguita anche nei giorni del 28 e 29 dicembre.

Se, nella prima giornata simbolica, alcuni Paesi come Spagna, Francia e Austria hanno deciso di iniziare dai soggetti più fragili, vale a dire dagli anziani delle case di riposo, la Repubblica Ceca ha scelto come primo vaccinato il premier Andrej Babis; analogamente anche la Grecia ha ritenuto opportuno che tra i primi vaccinati del Paese ci fossero la presidente della Repubblica Katerina Sakellaropoulou, il premier Kyriakos Mitsotakis e altri politici ellenici.

Diversamente, Malta e la Polonia hanno aperto la campagna vaccinale iniziando da un’infermiera del reparto malattie infettive di un proprio ospedale.

La selezione italiana è caduta sulla professoressa Maria Rosaria Capobianchi, dirigente del laboratorio di Virologia dell’ospedale Lazzaro Spallanzani, tra i primi ricercatori al mondo che isolò il Coronavirus Sars-CoV-2.

Tra coloro che hanno potuto beneficiare del vaccino nel Vax Day c’è stato anche Vincenzo De Luca, presidente della Regione Campania; e subito è scoppiata  la polemica. Non pochi hanno giudicato questa scelta non come un messaggio destinato ad abbattere gli scetticismi e le “convinzioni” dei simpatizzanti dei no-vax, bensì come un abuso di potere, un modo per “saltare la fila” ed accaparrarsi il vaccino riservato, in questa prima fase, agli operatori sanitari, al personale delle residenze sanitarie protette e agli anziani. E’ l’eterna questione sul comportamento che dovrebbe adottare la politica di fronte ad eventi simili: dare il buon esempio o attendere il proprio turno, come i comuni cittadini?

Ma dopo il debutto simbolico di fine 2020, da metà gennaio si partirà con l’ambizioso obiettivo di raggiungere la cosiddetta “immunità di gregge” già a fine estate 2021. E se le prime tranche di farmaci saranno riservate ai medici, agli infermieri, al personale e agli ospiti delle RSA, subito dopo, nei mesi di febbraio e di marzo, le successive forniture saranno destinate alle persone con più di 80 anni.

Da aprile si dovrebbe procedere, in maniera progressiva, alla vaccinazione delle persone meno fragili: si inizierà da coloro che hanno un’età compresa tra i 60 e i 79 anni per proseguire con chi ha almeno due patologie ed infine, con l’inizio dell’estate, si passerà a ritmo incalzante al resto della popolazione. Il direttore dell’AIFA, Nicola Magrini, ha dichiarato che “fra tre mesi gli ospedali saranno Covid-free e le RSA in sicurezza” e che “entro settembre riusciremo a vaccinare il 70% della popolazione”.

Sarà dunque uno sforzo poderoso che metterà in gioco le capacità logistiche di ogni Paese. Una sfida senza precedenti che probabilmente scriverà una pagina nuova ed importante nella storia contro le pandemie.

Resta ancora da capire quanto durerà l’immunità fornita dai singoli vaccini (probabilmente 6 mesi – 1 anno) e quanti saranno coloro che non potranno, per malattie pregresse, essere sottoposti a questa terapia. Anche le persone che non vorranno vaccinarsi rappresentano una pericolosa incognita con la quale dovremo confrontarci; infatti, vale la pena ricordare che, se la vaccinazione in corso è gratuita, rimane comunque su base volontaria.

Di fronte all’elemento certo della presenza del vaccino c’è quindi da opporre l’incertezza data dalla presenza degli scettici (anche tra medici e sanitari). Quante saranno, a conti fatti, le persone che non si vorranno vaccinare? E tra coloro che si dichiarano oggi contrari alla vaccinazione contro il Covid, quanti continueranno a mantenere le proprie perplessità anche nei prossimi mesi?  I timori verso un trattamento innovativo o gli atteggiamenti modaioli alla no-vax resisteranno anche di fronte al miglioramento generale della situazione sanitaria?

E proprio di fronte all’incognita del raggiungimento dell’”immunità di branco” si fanno avanti proposte come quella di rendere la vaccinazione contro il Covid obbligatoria, almeno per i sanitari, oppure quella di far pagare un prezzo per la libertà di non vaccinarsi, vale a dire far sostenere, in caso di ricovero ospedaliero, le proprie spese mediche direttamente al paziente anziché scaricarle sul Servizio Sanitario Nazionale.

Viene poi da chiedersi se sarà concretamente realizzabile la produzione e la distribuzione di tutte le dosi necessarie a vaccinare almeno coloro che lo vorranno.

Tutte queste variabili influenzeranno il raggiungimento del risultato dopo l’estate del prossimo anno. Con molta probabilità però, per garantire la persistente “immunità di gruppo”, la più grande campagna vaccinale della storia si trasformerà in un’operazione routinaria, una vaccinazione che dovrà dunque essere ripetuta ogni anno.

Ad ogni modo, finalmente stiamo iniziando a voltare pagina dopo un lungo anno, affannoso, tormentato e dominato dal Covid. Sono giorni di grande speranza per tutti nel mondo. Tuttavia, con l’arrivo dei vaccini abbiamo fatto solo un primo passo per sconfiggere il Coronavirus; la svolta sarà vaccinare almeno il 70% della popolazione.

La strada verso un ritorno alla normalità, dunque, è ancora lunga e tortuosa, ma con il nuovo anno si sta affacciando la speranza di lasciare alle spalle questa nefasta esperienza. Col 2021 avremo una consapevolezza in più: la guerra contro il Coronavirus può essere vinta.

 

di Sonia Modi

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lunedì 27 aprile 2020

LOCKDOWN (PRIMA PARTE): L'ITALIA, UN INTERO PAESE TEMPORANEAMENTE CHIUSO





Firenze, 27 aprile 2020


LOCKDOWN (PRIMA PARTE): L'ITALIA, UN INTERO PAESE TEMPORANEAMENTE CHIUSO


Siamo in guerra contro un nemico invisibile e sconosciuto. Morti, malati ed un intero Paese in quarantena. E superata l’emergenza sanitaria, aleggia lo spettro che il dopo possa essere anche peggio: le macerie (soprattutto economiche e sociali) saranno ovunque e le ferite degli italiani dureranno a lungo. Una catastrofe inaspettata e senza precedenti

Eccoci qua, come catapultati in un incubo dal quale non riusciamo a svegliarci. Tutti (o quasi) silenziosamente barricati in casa, assediati da questo coronavirus che si rivela un nemico invisibile e subdolo, increduli davanti agli avvenimenti incalzanti di queste ultime settimane.

Il Paese sembra essere piombato in un profondo e oscuro abisso dal quale nessuno sa se, quando e come ne uscirà. Come in Virus letale, il film di Wolfgang Petersen del 1995, gli italiani osservano sbalorditi ed impotenti dalle loro finestre (e attraverso i mass media) il diffondersi nella popolazione di un misterioso e sconosciuto morbo.

Analogamente a quanto accade ne I Sopravvissuti, la serie televisiva britannica del 1975 di ambientazione post apocalittica, ci sentiamo dei superstiti mentre ascoltiamo il consueto bollettino serale della Protezione Civile che snocciola i numeri dei decessi  e dei nuovi contagiati.

Tutti noi sappiamo che questa vicenda non sarà breve e che gli strascichi e le ferite li porteremo per anni. Ovviamente nelle prime settimane siamo stati concentrati sull’emergenza sanitaria, sul numero esponenziale delle vittime di questa inaspettata battaglia e sui malati stipati ovunque: nei nosocomi che sembrano esplodere ogni giorno di più, negli ospedali da campo frettolosamente creati e negli alberghi convertiti in poche ore in ricoveri per degenti. Soprattutto colpisce il numero di anziani deceduti, una cifra che ancora nessuno è stato in grado di quantificare con precisione perché si tratta di persone tristemente intrappolate nella solitudine delle proprie abitazioni o nel silenzioso abbandono delle anonime residenze sanitarie assistite alle quali erano state fiduciosamente affidate.

E anche se oggi ci pare di vedere la luce in fondo al tunnel e si comincia a parlare di “fase 2”, ogni giorno continuano a morire centinaia di persone, soprattutto al Nord. I medici sembrano impotenti di fronte ad una malattia sconosciuta e così altamente letale.

L’alto grado di contagiosità del coronavirus ha costretto le autorità a sopprimere da oltre un mese tutti i funerali e i riti religiosi. E così, chi rimane in vita non può neppure salutare per l’ultima volta i propri cari. Coloro che sono in quarantena poi non hanno neppure il tempo di piangere i propri defunti perché devono occuparsi della propria salute e di quella dei familiari sopravissuti.

Dappertutto le carceri sovraffollate danno segni di insofferenza. Lo scorso mese, con inquietante sincronismo, in quasi tutte le case di detenzione sono esplose dalle rivolte. Le guardie penitenziarie hanno cercato di arginare le proteste violente durate per giorni ma alcuni detenuti sono riusciti ad evadere.

Soprattutto in seguito alle proteste dei reclusi, si è parlato a lungo di come contenere l’impatto devastante del Covid-19 all’interno degli istituti carcerari. Si è pensato pertanto di ridurre il numero dei detenuti ricorrendo all’istituto degli arresti domiciliari. Si è considerata anche l’evenienza di ampliare l’impiego dei braccialetti elettronici. Le prime stime hanno parlato di una popolazione di almeno seimila persone potenzialmente interessate da queste misure. Certo non sarebbe la liberazione di massa dei prigionieri disposta lo scorso mese in Iran, ma è comunque una scelta che ha sollevato molte perplessità. E c’è chi si è affrettato ad etichettarla come “indulto mascherato”.

Trascorsa l’emergenza delle rivolte nei penitenziari però non si è più parlato del problema del sovraffollamento degli istituiti di pena. Ad oggi non è chiaro se e quanti detenuti abbiano concretamente beneficiato di questi strumenti deflattivi del numero dei detenuti ristretti nei carceri. Per fortuna, negli istituti penitenziari non si è verificata la temuta esplosione dell’epidemia paventata e i casi di deceduti per covid-19 sono rimasti circoscritti a due.

Rimanendo sul versante giustizia, dal 9 marzo, in tutti i tribunali, le udienze - salvo alcune ritenute urgenti ed improrogabili - sono state rinviate in blocco. Gli ospedali e gli ambulatori hanno rimandato a date da destinarsi tutti gli interventi e le visite non urgenti. Dal 5 marzo, le attività didattiche sono state soppresse; solo alcuni giorni dopo, i negozi che non vendevano beni di prima necessità sono stati serrati e gli uffici pubblici chiusi al pubblico.

In questo periodo di lockdown sono rimasti aperti solo gli alimentari e le farmacie. Solo dopo Pasqua ha cominciato a riaprire qualche esercizio commerciale, come le librerie. Davanti a queste poche attività consentite in queste ultime settimane, ci siamo abituati a vedere file interminabili di zombi con guanti e mascherine (almeno i fortunati che le hanno trovate) che, distanziati di almeno un metro l’uno dall’altro, attendono silenziosi il proprio turno. Come in ogni emergenza che si rispetti, soprattutto nel primo periodo, non sono mancate scene di panico e di isteria collettiva con i supermercati presi d’assalto ed interi scaffali svuotati.

Man mano che le settimane trascorrevano noi tutti ci siamo abituati a restare “reclusi” in casa, adeguandoci alle nuove regole, consapevoli della gravità della situazione. Certo, il divieto di “evadere” dalle proprie abitazioni è stato posto per esigenze sanitarie, ma quando questa brutta vicenda sarà terminata, credo che non mancherà chi porrà qualche dubbio sulla legittimità delle forti compressioni dei diritti di libertà imposte in queste ultime settimane.

Ma ancora non è il momento di fomentare polemiche. Se, infatti, non siamo piombati in uno scenario paragonabile a quello affrontato dai nostri nonni e bisnonni in tempo di guerra, poco ci è mancato. Anche il consueto rissoso clima politico italiano - almeno nella prima parte di questa emergenza - è sembrato cambiare. Le varie anime del governo si sono mosse inaspettatamente compatte nell’affrontare questa emergenza sanitaria, mentre le opposizioni hanno abbassato i toni. E se non si è trattata questa di unità nazionale, beh credo che le sia assomigliato moltissimo. Soltanto in questi ultimi giorni - proprio con il rallentamento dell’emergenza sanitaria - si è visto riaccendere alcune polemiche da parte dei due principali leader di opposizione e sono esplose anche delle scintille all’interno della compagine governativa.

Va detto che il Governo alla vigilia della “fase 1” si è trovato ad affrontare una situazione inedita e, dopo una iniziale fase di inerzia, ha tentato di riacciuffare un Paese moribondo. Ha deciso di farlo adottando misure draconiane ed emanando provvedimenti senza precedenti, scommettendo tutto sulla salute dei cittadini e sulla tenuta del sistema sanitario nazionale. Solo in questi ultimi giorni l’epidemia sembra che timidamente si stia arrestando e si sta iniziando a parlare di “fase 2”; chiunque può capire come queste durissime misure siano concretamente servite a salvare la vita a migliaia di italiani. Ma ora che si scorgono dei risultati in termini di riduzione del numero dei contagiati e dei malati (soprattutto quelli che richiedono l’ospedalizzazione), è necessario cominciare a programmare, senza indugio, la ripresa economica.



Noi tutti abbiamo la consapevolezza che quando questa emergenza sanitaria sarà terminata, le macerie (soprattutto economiche e sociali) saranno ovunque e le ferite ci accompagneranno a lungo.  Credo che l’Italia, da sola, difficilmente riuscirà a pagare il costo di un Paese ormai bloccato da quasi due mesi. Questo è il momento di vedere l’Europa davvero unita e solidale nei nostri confronti, mentre stiamo affrontando una battaglia inaspettata e senza precedenti. Penso che proprio sulla ricostruzione del post covid-19 dovrà fondarsi veramente l’Unione Europa, altrimenti si dissolverà quel progetto visionario dei nostri nonni a Ventotene, il sogno lungimirante di libertà della generazione di Erasmus e la speranza di milioni di persone di sentirsi un popolo.

di Sonia Modi
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