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venerdì 1 maggio 2020

1° MAGGIO 2020: FESTA DEL LAVORO (CHE NON C’E’)




Firenze, 1° maggio 2020

1° MAGGIO 2020: FESTA DEL LAVORO (CHE NON C’E’)

La Festa del Lavoro (rigorosamente virtuale) al tempo del coronavirus: niente cortei, nessun discorso e tanta paura per il presente



C
osì - dopo la festa della Liberazione, senza libertà, da “reclusi” - quest’anno abbiamo dovuto festeggiare anche la Festa del Lavoro, senza lavoro, con le attività commerciali e gli uffici chiusi per il lockdown.

La data di questa festa fu scelta per la prima volta a Parigi, nel lontano 1889. Fu decisa come data simbolo in ricordo delle vittime del massacro di Haymarket Square, morte solo poco tempo prima. I fatti erano avvenuti esattamente tre anni prima nell’Illinois, nell’omonima piazza di Chicago. Il primo maggio del 1886 era stato indetto uno sciopero generale per rivendicare migliori condizioni di lavoro: più sicurezza e una diminuzione dell’orario lavorativo in tutti gli Stati Uniti. Le proteste andarono avanti per giorni durante i quali, tra i tumulti e gli scontri con la polizia, trovarono la morte diversi scioperanti e centinaia rimasero feriti.

Dopo il 1889 anche altri Stati, oltre la Francia, considerarono il Primo maggio la Festa del Lavoro e dei Lavoratori e dal 1891, salvo la parentesi fascista, anche l’Italia festeggia ufficialmente questa data.

Quest’anno la Festa è caduta nel periodo di quarantena per il covid-19. L’emergenza sanitaria ha imposto festeggiamenti diversi dai consueti: nessun corteo con gli striscioni, nessun palcoscenico e, soprattutto, nessuna piazza gremita di lavoratori.

Se non fosse stato per il messaggio diramato dal Presidente Mattarella (tramite il suo sito istituzionale), per il comizio (nella forma del dibattito televisivo) dei segretari generali dei sindacati, per il “concertone” (esclusivamente trasmesso in streaming sui Social e in TV) e per qualche flash mob (virtuale, beninteso), questo Primo maggio sarebbe trascorso come un ordinario giorno di questa estenuante quarantena.
  
Quest’anno nessuno ha il coraggio di parlare di Festa del Lavoro, ma al massimo di speranza perché presto, il prima possibile, il ciclo della produzione possa riprendere il suo ordinario ritmo e i lavoratori possano ritornare alle proprie precedenti occupazioni, almeno chi può.

Una ricorrenza, dunque, che in molti hanno festeggiato nel silenzio delle proprie case, con in gola la paura di rimanere senza lavoro o con il timore di poterlo perdere a breve. Probabilmente dopo questa esperienza sanitaria molto cambierà nelle nostre vite e, certamente, molto non sarà più come prima nel mondo del lavoro.

                                                                                                                                            di Sonia Modi
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martedì 1 maggio 2018

LA SICUREZZA SUL LAVORO DEVE ESSERE LA PRIORITA' PER IL NUOVO GOVERNO






Prato, 1° maggio 2018

LA SICUREZZA SUL LAVORO DEVE ESSERE LA PRIORITA’ PER IL NUOVO GOVERNO

Morti, infortuni e malattie professionali sono conseguenza della precarietà, della mancata formazione e della illegalità ed allontanano il Paese dal futuro


Q
uesto Primo Maggio, la città di Prato ospita il corteo nazionale dei lavoratori e il comizio dei segretari generali della CGIL, CISL e UIL, Susanna Camusso, Annamaria Furlan e Carmelo Barbagallo.

In una nota congiunta diramata già nel marzo scorso, i tre sindacati avevano spiegato di avere scelto proprio Prato per celebrare il Primo Maggio e la Festa del Lavoro perché questa città “rappresenta un’importante e simbolica realtà industriale dove il tema della salute e la sicurezza nei luoghi di lavoro è fortemente sentito”. Prato è anche la città dove si è verificata una delle più grandi e recenti tragedie italiane, la città nella quale il 1° dicembre 2013 sette lavoratori cinesi morirono in una fabbrica dormitorio al Macrolotto; è la città che non dimentica le morti sul lavoro. 

Migliaia di persone provenienti da tutta Italia – tre milioni per la Questura, cinque milioni per gli organizzatori – hanno risposto all’appello delle tre organizzazioni sindacali; presenti alla manifestazione anche due rappresentanti cinesi della UIL che hanno portato uno striscione tradotto per la prima volta nella loro lingua orientale. 

Il corteo parte da piazza Mercatale e si snoda per le vie del centro storico, accompagnato dallo slogan “Sicurezza: il cuore del lavoro” e giungein piazza del Duomo,dove è stato predisposto il palco sul qualeinterverranno i tre leader sindacali. 

Il primo a salire sul palco e a prendere la parola è il leader della UIL, Barbagallo, che pone l’accento sulla mancanza di una strategia relativa alla sicurezza e alla salute sul posto di lavoro, nonché sulla necessità della formazione tempestiva di un Governo che dia quanto prima delle risposte opportune a queste e ad altre tematiche irrisoltedel mondo del lavoro e dei lavoratori, come le false partite IVA, il costo del salario e l’individuazione dei lavori usuranti.

Evidenzia, altresì, come nel 2018 si sia tornati allo stesso livello di mortalità del 1911, ricordando i caduti sul lavoro che riposano al Cimitero Monumentale di Marcognano a Torano, lungo il passo delle Alpi Apuane, dove appunto, il 19 luglio 1911 persero la vita dieci lavoratori in un incidente sulla cava marmifera dei Bettogli.

Per il segretario della CISL, Furlan, assistiamo a nuove forme di sfruttamento e di “schiavitù”, nuove forme di precariato a condizioni inaccettabili che si pensavano superate.
Fa un appello alle imprese, chedovrebbero investire di più sulla sicurezza, e alla politica, affinché sostenga le imprese che investono in sicurezza. Prosegue, esortandoil nuovo Governo a considerareil tema della sicurezza comeuna priorità, evidenziando che“non si può e non si deve morire di lavoro”.

Nel suo intervento, la Camusso, segretario della CGIL, individua nella mancanza di investimenti e di formazione e nella precarietà del lavoro. Ancora oggi, troppo spesso la sicurezza e la salute dei lavoratorirappresentanoper le aziende solo un costo che deve essere tagliato.

L’aumento dei controlli, per il segretario generale della CGIL, è una delle strade per risolvere il problema della sicurezza.
Anche la Camusso si sofferma poi sulla necessità della formazione di un nuovo Governo, precisando che “non ci si avvicina ai problemi del paese continuando ad invocare il voto”.

Certamente lo slogan scelto per l’edizione del 2018, “Sicurezza: il cuore del lavoro”, investe un tema molto attuale. Infatti, per la prima volta in dieci anni, assieme alla modesta ripresa economica, il numero delle denunce di infortuni sul lavoro con esito mortale, sono tornate ad aumentare. Ovviamente, tutti i dati che analizzano la questione non prendono in considerazione gli infortuni e le malattie dei lavoratori “a nero”, né di quelli non assicurati.

I dati forniti dai sindacati fotografano una drammatica realtà di morti bianche, infortuni e malattie professionali. Dal 1° gennaio ad oggi, difatti,si sono già verificate 160 morti sul lavoro, di cui alcune sono tuttora scolpite nei nostri ricordi. Il 28 marzo, intorno alle 13:30, a Livorno, un serbatoio di solventi è esploso nella zona del porto, uccidendo due operai. Pochi giorni dopo, il 1° aprile - giorno di Pasqua -  a Treviglio, altri due operai sono morti a seguito dell’esplosione di un serbatoio di mangimi. Il 4 aprile, è stata la volta di due operai di Crotone, schiacciati da un muro che cercavano di mettere in sicurezza. 

I dati relativi al 2017, pubblicati dall’Inail all’inizio dell’anno corrente, registrano 1.115 morti, con un aumento dell’1,1% rispetto al 2016. Se questo può sembrare un lieve aumento, il dato dovrebbe essere esaminato non da un punto di vista puramente contabile – 11 persone rispetto ad oltre un migliaio – ma da una prospettivapiù “umana”, considerato che dietro ad ognuna di quelle 11 morti si nasconde la tragedia di 11 famiglie alle quali è stato strappato un loro caro assieme a tutti i propri sogni.

In primo luogo, va precisato che nel 2017 gli incrementi più significativi si sono registrati principalmente tra le morti avvenute in itinere (+ 5,2%), tra quei decessi cioè verificatesi in occasione di incidenti stradalidurante il tragitto tra casa e posto di lavoro. 

Andrebbe analizzato, in secondo luogo, anche un altro aspetto: dai dati Inail emerge che nel 2017 vi è stato un incremento di incidenti cd. “plurimi”, cioè che hanno coinvolto almeno due lavoratori. Per meglio capire il dato, si può pensare al noto caso della tragedia di Rigopiano, allorquando il 18 gennaio una valanga travolse un hotel causando la morte di ventinove persone, tra le quali dieci dipendenti dell’albergo. Pochi giorni dopo poi, a Campo Felice, un elicottero impegnato nelle operazioni di soccorso, si schiantò causando la morte di tutti i trasportati e, quindi, di sei lavoratori. Questi due episodi da soli hanno quindi coinvolto trentacinque lavoratori, incidendo profondamente anche sulle statistiche Inail in esame.

Questi dati Inail, poi, non spiegano le dinamiche di questi infortuni mortali, né indicano a chi sia ascrivibile la colpa dell’evento. Non è possibile stabilire, dunque, quante di queste morti bianche siano riferibili ad inadeguate o carenti misure di sicurezza fornite dal datore, quante siano collegabili a distrazioni e imperizie del lavoratore e quante, infine, siano riconducibili a terribili ed imprevedibili fatalità.

Infine, i dati italiani sono difficilmente comparabili con quelli forniti dagli altri Paesi europei. Non tutti i Paesi, infatti, hanno una stessa definizione di infortunio sul posto sul lavoro. Alcuni Paesi, a differenza del nostro, non includono nelle statistiche gli incidenti in itinere. Inoltre, i vari Paesi europei hanno economie non sempre facilmente equiparabili; ci sono Paesi con economie basate prevalentemente sul turismo, altre invece, basate sull’edilizia e, altre ancora,sulla meccanica. Ma i lavoratori di questi diversi settori non hanno lo stesso tendenziale grado di rischio di infortunio mortale sul posto di lavoro.

Altro tema da analizzare è quello della tipologia delle denunce. Se quelle di infortunio con esito mortale,nel 2017, sono aumentate, in calo sono, invece, le denunce di infortunio che si sono risolte senza decessi.

I dati Inail fotografano 635.433 casi, con 1.379 casi in meno, cioè lo 0,2%, rispetto al 2016. La diminuzione è addebitabile solo al calo degli infortuni durante l’esercizio di un’attività lavorativa (-0,7%), dal momento che quelli in itinere hanno invece registrato un aumento (+2,8%).
 
In calo anche le denunce di malattie professionali: nel 2017 sono stati segnalati 58.129 casi, 2.200 in meno rispetto all’anno precedente, pari quindi a -3,7%.

Dunque, da una analisi complessiva dei dati forniti dall’Inail, si rileva che aumentano solo gli infortuni con esiti letali. Tra le possibili cause di questa inversione di tendenza,che ha accompagnato la recente timida ripresa economica, sembra esserci la sempre più scarsa preparazione dei lavoratori assunti, lavoratori sempre più precari, giovani “poco e da poco” formati, sui quali idatori di lavoro spesso hanno poca convenienza ad investire in formazione sulla sicurezza, non ritenendoli una risorsa valida e durevole sulla quale confidare.

Poi i macchinari, usurati dalle aziende spesso di piccole dimensioni, sono troppo spesso obsoleti, usurati a seguito della lunga recessione.

Tuttavia, se il piano “Industria 4.0”,fortemente voluto dal Ministro Calenda e varato dal Governo Gentiloni, sembra poter contribuire con gli incentivi per le innovazioni da esso previsti ad un ricambio degli impianti delle aziende, rimangono insoluti i problemi connessi alla prevenzione e ai controlli dei tecnici Inps, Inail e degli ispettori del lavoro, ritrovatisi oggi uniti sotto un solo ufficio del Ministero del Lavoro, con personale dimezzato da anni di blocchi del turn over e da mancate assunzioni, privi di automobili e carburante per effettuare gli spostamenti per i controlli e, pertanto, inadeguati a fare fronte alle necessarie ispezioni nelle aziende.


di Sonia Modi

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