Firenze,
8 agosto 2018
SVOLTA
NELLE INDAGINI SUL PARA' MORTO NEL 1999: INDAGINE DENTRO IL FENOMENO DEL
“NONNISMO” (3ª parte)
Dal
lavoro della Commissione Parlamentare di Inchiesta ai recenti sviluppi della
Procura di Pisa emerge una inconfessata realtà
A
|
lungo -
e indipendentemente dal caso Scieri - si è parlato di “nonnismo” all’interno
delle caserme.Ma cos’è il nonnismo? La Treccani lo definiscequesto come: “il fenomeno per cui a volte, nelle caserme,
i militari di leva prossimi al congedo adottano comportamenti di prepotenza e
di intimidazione nei riguardi delle reclute, facendosi riconoscere privilegi
(quale per es.: l’esenzione dalle mansioni faticose), e non di rado puniscono le
reclute ribelli con scherzi anche crudeli”.
E’ bene ricordare che la pratica non era
appannaggio della sola “Folgore”, ma era uniformemente condivisa con gli altri
reparti dell’esercito.
Da
non sottovalutare è poi l’aspetto che nella brigata “Folgore” si poteva entrare
solo come volontari. Altri corpi d’armata, compreso quello degli “Alpini”, prevedevano
l’utilizzo di militari di leva; non era così per quello di “élite” dei parà.
Per tutti però, l’esperienza militare era un punto di rottura per i giovani fino al 1° gennaio 2005; varcate le soglie della caserma iniziava una esperienza destinata a segnare la vita di generazioni di uomini.
Per alcuni, il servizio di leva fu l’occasione per conoscere nuovepersone, spesso nuovi amici; nel periodo immediatamente successivo all’Unità d’Italia era addirittura l’occasione per entrare in contatto con culture diverse. Per molti giovani però il servizio di leva si rivelò un vero e proprio incubo, anche indipendentemente dagli atti di “nonnismo” subiti.
Indubbiamente i fenomeni di prevaricazione e di prepotenza dei commilitoni più “anziani” nei confronti delle reclutecostituirono una piaga, a lungo non confessata; troppo spesso, nelle caserme italiane l’atteggiamento intimidatorio e violento assunto dai caporali rappresentò la regola da inserire nell’ordine del giorno; per decenni,negli ambienti militari venivano tollerate varie sorte di pratiche, che andavano dalle classiche cosiddette “pompate” - flessioni che i giovani allievi dovevano compiere ad ogni passo e che potevano anche corredarsi di pugni e calci dati sulla schiena e sui fianchi – alle frequenti incursioni notturne nelle camerate delle reclute.
Venivano adottate pratiche anche più umilianti, come quella del juke box, consistente nelrinchiudere il malcapitato in un armadietto e nell’obbligarlo a cantare,dopo aver introdotto una monetina all’interno dello stesso armadietto, come se quello fosse un vero e proprio juke box.
Per tutti però, l’esperienza militare era un punto di rottura per i giovani fino al 1° gennaio 2005; varcate le soglie della caserma iniziava una esperienza destinata a segnare la vita di generazioni di uomini.
Per alcuni, il servizio di leva fu l’occasione per conoscere nuovepersone, spesso nuovi amici; nel periodo immediatamente successivo all’Unità d’Italia era addirittura l’occasione per entrare in contatto con culture diverse. Per molti giovani però il servizio di leva si rivelò un vero e proprio incubo, anche indipendentemente dagli atti di “nonnismo” subiti.
Indubbiamente i fenomeni di prevaricazione e di prepotenza dei commilitoni più “anziani” nei confronti delle reclutecostituirono una piaga, a lungo non confessata; troppo spesso, nelle caserme italiane l’atteggiamento intimidatorio e violento assunto dai caporali rappresentò la regola da inserire nell’ordine del giorno; per decenni,negli ambienti militari venivano tollerate varie sorte di pratiche, che andavano dalle classiche cosiddette “pompate” - flessioni che i giovani allievi dovevano compiere ad ogni passo e che potevano anche corredarsi di pugni e calci dati sulla schiena e sui fianchi – alle frequenti incursioni notturne nelle camerate delle reclute.
Venivano adottate pratiche anche più umilianti, come quella del juke box, consistente nelrinchiudere il malcapitato in un armadietto e nell’obbligarlo a cantare,dopo aver introdotto una monetina all’interno dello stesso armadietto, come se quello fosse un vero e proprio juke box.
Altre pratiche erano anche più dolorose, come quella “della saponetta”, che consisteva nelpercuotere la recluta con una saponetta infilata in un calzino.
Vi
erano poi delle pratiche disgustose e raccapriccianti, come la cosiddetta “comunione”,
consistente nel fare odorare alla recluta, o addirittura assumere, un
compostomaleodorante a base di escrementi umani.
La maggior parte deimilitari subiva queste pratiche in silenzio, ritenendole probabilmenteun passoinevitabile nel difficile rapporto di convivenza fra “anziani” e nuovi arrivati; oppure veniva tutto rispettosamente osservato nella convinzione di aderire ad un “antico codice militare”.
La maggior parte deimilitari subiva queste pratiche in silenzio, ritenendole probabilmenteun passoinevitabile nel difficile rapporto di convivenza fra “anziani” e nuovi arrivati; oppure veniva tutto rispettosamente osservato nella convinzione di aderire ad un “antico codice militare”.
Anche
se in questi ultimi anni non si sente più parlare di episodi di
“nonnismo”all’interno delle caserme italiane, è probabilmente semplicistico e
miope archiviare questo fenomeno ritenendolo concluso con la fine del servizio
di leva obbligatorio e relegarlo, pertanto, al secolo scorso.
D’altra parte si potrebbe estendere la riflessione sul fenomeno più generale di chi entra, per la prima volta, in un nuovo gruppo sociale nel quale, al suo interno, vi sono persone che già da tempo condividono un tratto di vita insieme, amicizie, anni di servizio ed esperienze professionali.
In
questi casi, troppo spesso, il nuovo arrivato si trova ad affrontare dinamiche
di prevaricazione analoghe a quelle vissute dalle reclute all’interno della caserma;
pensiamo alle confraternite universitarie americane, ai “bulli”nelle scuole di
tutto il mondo e agli episodi di mobbing sul
posto di lavoro.
di
Sonia Modi
Riproduzione
vietata