sabato 25 aprile 2020

75° ANNIVERSARIO DELLA LIBERAZIONE: INSIEME, SE PUR DISTANTI





Firenze, 25 aprile 2020



75° ANNIVERSARIO DELLA LIBERAZIONE: INSIEME, SE PUR DISTANTI

Un 25 aprile al tempo del coronavirus: virtuale e virale, tra canti dai balconi ed omaggi sui Social


uesta festa della Repubblica, per la prima volta in settantacinque anni, è stata decisamente diversa da tutte le altre: nessun corteo, nessun discorso, nessuna cerimonia, nessuna manifestazione, ma tutti i cittadini sono stati invitati dalle autorità a partecipare collegati sui Social, uniti dagli hashtag: #bellaciaoinognicasa, #iorestolibera e #iorestolibero.

Per il 25 aprile 2020 il Capo dello Stato era atteso in Toscana, ma la pandemia l’ha trattenuto lontano dalla nostra Regione. Così il Presidente è rimasto nella Capitale; nella mattina ha reso omaggio al Milite Ignoto all’Altare della Patria in una forma quasi privata. Si è recato da solo, senza autorità al seguito, né civile, né militare. In cima alla scalinata l’hanno atteso due corazzieri, mentre un trombettiere dei carabinieri ha suonato “Il Silenzio”.

Per celebrare la festa della Liberazione, le frecce tricolori dell'Aeronautica hanno sorvolato più volte Roma, con la tradizionale scia bianca, rossa e verde. Il passaggio dei caccia è stato salutato dal silenzio irreale della Capitale deserta per la quarantena.

Anche nel resto del Paese il 75simo anniversario dalla liberazione nazifascista è stato festeggiato nel pieno rispetto del lockdown: ogni fiore, ogni corona di alloro è stato deposto dalle autorità in diretta tv e rilanciato dai Social.

Ma l’emergenza sanitaria non ha certo fermato la voglia degli italiani di festeggiare. Le piazze virtuali hanno visto la loro partecipazione in massa.

Alle 14:30 si è tenuta una manifestazione virtuale, iniziata con l’”Inno di Mameli”, trasmessa in streaming dalla pagina Facebook “25 Aprile 2020-Io Resto Libero”, sulla pagina YouTube e sul sito ”25aprile2020.it”.

Lo streaming si è chiuso alle 15:00 con la canzone “Bella Ciao”, consegnando un ideale testimone all’iniziativa dell’ANPI che ha invitato gli italiani dai balconi e dalle finestre ad intonare la canzone simbolo della lotta partigiana. E in migliaia - ognuno dalla propria casa, distanti ma simbolicamente uniti - hanno risposto all’appello, cantando e sventolando il tricolore. Immancabili sono poi stati i selfie e i filmati del flash mob postati e rimbalzati per tutta la giornata sui Social.

In questo periodo in cui, per motivi non bellici ma sanitari, si sta assaporando in tutto il Paese l’amaro della privazione della libertà, il ricordo di quei periodi lontani ci è sembrato a tutti più vicino.
 
E così in molti hanno visto delle similitudini tra questo momento storico e quello del 1945. Ma forse ci sono meno punti in comune di quanto non sembri: all’epoca gli italiani, armati, si fronteggiavano gli uni contro gli altri. Adesso, invece, siamo tutti uniti contro un unico nemico: il virus.

Quello di ieri, dunque, è stato un anniversario diverso da tutti quelli precedenti: gli italiani hanno festeggiato con la liberazione nel cuore e il dolore per i morti di allora, quelli della Resistenza, e quelli attuali, cioè quelli del coronavirus.

di Sonia Modi
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domenica 15 marzo 2020

SIAMO IN GUERRA!






Firenze, 15 marzo 2020

SIAMO IN GUERRA!

Siamo in guerra contro un nemico invisibile e sconosciuto. Morti, malati ed un intero Paese in quarantena. E dopo l’emergenza sanitaria aleggia lo spettro che possa essere anche peggio: le macerie (soprattutto economiche e sociali) saranno ovunque e le ferite degli italiani dureranno a lungo. Una catastrofe inaspettata e senza precedenti. 

E

ccoci qua, come catapultati in un incubo dal quale non riusciamo a svegliarci. Tutti (o quasi) silenziosamente barricati in casa, assediati dal Coronavirus, un nemico invisibile e subdolo, increduli davanti agli avvenimenti incalzanti di questi ultimi giorni.
 
Il Paese sembra piombato in un profondo oscuro abisso dal quale nessuno sa se, quando e come ne uscirà. Come in Virus letale, il film di Wolfgang Petersen del 1995, gli italiani osservano sbalorditi ed impotenti dalle loro finestre (e attraverso i mass media) il diffondersi nella popolazione di un misterioso e sconosciuto morbo.

Analogamente a quanto accade nei  I Sopravvissuti, la serie televisiva britannica del 1975 di ambientazione post apocalittica, ci sentiamo dei superstiti mentre ascoltiamo il consueto bollettino serale della Protezione Civile che snocciola i numeri dei decessi  e dei nuovi contagiati, sempre tanti ed in crescita esponenziale.

Tutti noi sappiamo che questa vicenda non sarà breve e che gli strascichi e le ferite li porteremo per anni. Ma in questo momento siamo concentrati sull’emergenza sanitaria, sul numero esponenziale delle vittime di questa inaspettata battaglia e sui malati stipati ormai ovunque: nei nosocomi che esplodono ogni giorno di più, negli ospedali da campo frettolosamente creati, negli alberghi convertiti in poche ore in ricoveri per degenti e, ahimè, anche tristemente dimenticati nelle proprie abitazioni.

Le persone muoiono a centinaia, ogni giorno, soprattutto al Nord. Muoiono negli ospedali, nelle tende e a casa, ma soprattutto muoiono sole e senza adeguata assistenza medica. I medici sono impotenti di fronte ad una malattia sconosciuta ed altamente letale.

Anche i funerali sono stati soppressi. Chi rimane non ha neppure il tempo di piangere i propri cari poiché deve immediatamente mettersi in quarantena ed occuparsi della salute propria e dei familiari sopravissuti.

Dappertutto le carceri sovraffollate esplodono dalle rivolte. Le guardie penitenziarie non riescono ad arginare le proteste violente e i detenuti evadono. Sono di queste ultime ore le insistenti indiscrezioni sulla risposta che lo Stato intenderebbe dare: per contenere l’impatto devastante che avrebbe il Covid-19 all’interno degli istituti carcerari, si vorrebbe far diminuire il numero dei detenuti ricorrendo agli arresti domiciliari. Per alcuni di essi potrebbero essere impiegati i braccialetti elettronici. E così una popolazione di almeno seimila persone prossimamente potrebbe uscire dalle prigioni. Non sarà la liberazione di massa dei prigionieri disposta solo alcuni giorni fa in Iran, ma certamente sarebbe una scelta tale da porre molti interrogativi. E c’è già chi parla di un indulto mascherato.

Rimanendo sul versante giustizia, nei tribunali tutte le udienze - salvo alcune ritenute urgenti ed improrogabili - sono state rinviate in blocco.

Gli ospedali e gli ambulatori hanno rimandato a date da destinarsi tutti gli interventi e le visite non urgenti.

Le attività didattiche sono state soppresse, i negozi sono stati serrati e gli uffici sono chiusi al pubblico.

Rimangono aperti solo gli alimentari e le farmacie. Davanti a queste poche attività ancora consentite sono spuntate file interminabili di zombi con guanti e mascherine (almeno i fortunati che le hanno trovate) che, distanziati di almeno un metro l’uno dall’altro, attendono silenziosi il proprio turno. Come in ogni emergenza che si rispetti non sono mancate scene di panico e di isteria collettiva  con i supermercati presi d’assalto ed interi scaffali svuotati.

E poi, tutti – per decreto – “reclusi” in casa, con posti di blocco un po’ ovunque per far rispettare le limitazioni. Certo, il divieto di “evadere” dalle proprie abitazioni è stato posto per esigenze sanitarie, ma quando questa brutta vicenda sarà terminata, credo che non mancheranno coloro che porranno qualche dubbio sulla legittimità delle forti violazioni dei diritti di libertà di queste ultime ore.

Ora però non è certo il momento di fomentare polemiche. Se non siamo piombati in uno scenario paragonabile a quello affrontato dai nostri nonni e bisnonni in tempo di guerra, poco ci manca.

Anche il consueto rissoso clima politico italiano, in poche ore, sembra cambiato. Le varie anime del governo si muovono inaspettatamente compatte nell’affrontare questa emergenza sanitaria, mentre le opposizioni hanno stranamente abbassato i toni. E se non si tratta questa di unità nazionale, beh credo che gli assomigli moltissimo.

Coraggiosamente il Governo cerca di riacciuffare un Paese moribondo e lo fa con misure draconiane e con provvedimenti senza precedenti, scommettendo tutto sulla salute dei cittadini e sulla tenuta del sistema sanitario nazionale.

Ma queste misure basteranno a salvare la vita a migliaia di italiani? Quando l’emergenza sanitaria sarà terminata, le macerie (soprattutto economiche e sociali) saranno ovunque e le ferite ci accompagneranno a lungo.

Credo che l’Italia difficilmente riuscirà a pagare il costo di un Paese ormai bloccato senza l’aiuto dell’Europa. Questo è il momento di vedere l’U.E. davvero unita e solidale nei nostri confronti, mentre stiamo affrontando una battaglia inaspettata e senza precedenti. Penso che proprio sulla nostra ricostruzione del post Covid-19 dovrà fondarsi veramente l’Unione Europa, altrimenti si dissolverà quel progetto visionario dei nostri nonni a Ventotene, il sogno lungimirante di libertà della generazione di Erasmus e la speranza di milioni di persone di sentirsi un Popolo.

di Sonia Modi
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sabato 8 febbraio 2020

Regionali in Toscana: una partita ancora aperta




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Firenze, 8 febbraio 2020

Regionali in Toscana: una partita ancora aperta

Le Sardine sono rimaste indigeste a Salvini o la vittoria del leader sovranista è stata solo rinviata? Alla vigilia delle elezioni regionali in Toscana, cosa ci lasciano in eredità i recenti risultati elettorali dell’Emilia Romagna



E
parliamo  (ancora) di elezioni regionali. Dopo i recenti risultati delle consultazioni in Emilia Romagna e in Calabria ora si guarda alla Toscana, chiamata al voto nella prossima primavera. 

Già cominciano a circolare i primi orientamenti di voto degli elettori. Proprio in questa regione, infatti, si giocherà una delle più importanti partite tra il centrosinistra, che governa il territorio da sempre, e il centrodestra che, dopo la recente sconfitta dell’Emilia Romagna, è ancor più desideroso di scalzare il Partito Democratico dalla storica roccaforte rossa. 

La coalizione progressista toscana marcia unita e converge sul nome di Eugenio Giani - presidente uscente del Consiglio regionale e politico di lungo corso - quale candidato governatore della regione. Diversamente, il centrodestra non ha ancora ufficializzato il nome del proprio candidato. Circolano i nomi di Susanna Ceccardi, europarlamentare ed ex sindaco di Cascina, di Giovanni Donzelli, deputato eletto nel 2018 ed ex consigliere regionale, e di Antonfrancesco Vivarelli Colonna, primo cittadino di Grosseto.

Indubbiamente i risultati delle recenti consultazioni elettorali pesano (e peseranno) anche nelle prossime elezioni toscane. Il primo effetto si è già realizzato: far perdere concretezza alla nomina della leghista Ceccardi. E se la Meloni ha recentemente precisato che in Toscana non sono state ancora concordate le candidature, da ambienti di Forza Italia si incalza l’alleato Salvini precisando che non dovrà essere (più) la Lega ad indicare il nome del candidato governatore dello schieramento.

Facciamo un passo indietro e ritorniamo alle recenti consultazioni regionali. Queste ultime votazioni sono state trasformate in un vero e proprio esame per i partiti a livello nazionale e, soprattutto, per la compagine governativa. L’aspro scontro tra destra e sinistra, voluto principalmente da Salvini, ha finito per polarizzare ed accendere gli animi degli elettori della “regione rossa”.

Il leader della destra, estremizzando il messaggio politico, ha pensato, con una mossa sola, di poter conquistare l’Emilia Romagna, far diventare la Lega il primo partito della Calabria e far cadere il debole governo. Ma a spoglio ultimato è apparso evidente a tutti che la sua strategia non è stata vincente e la sua potente macchina mediatica non è stata in grado di portare a casa la presidenza della “regione rossa”, che tanti sondaggisti ed opinionisti davano già per vinta. In Calabria poi i risultati sono stati ancor più deludenti: la Lega è risultato il terzo partito, dopo il Partito Democratico e dietro, addirittura, alla resuscitata Forza Italia. La coalizione governativa, infine, ne è uscita rafforzata.

Indubbiamente, però, l’attenzione di tutti è stata rivolta verso l’Emilia Romagna. Qui il muro della sinistra ha retto brillantemente al forte urto dei sovranisti. Quel muro, va detto, non è più quello di una volta e persino nella “rossa” Emilia il partito di Zingaretti non è in grado di raggiungere i consensi di una volta.  Ciò non di meno, la vittoria di Bonaccini e del Partito Democratico è stata importante. E lo è ancor di più se questi risultati si leggono assieme a quelli ottenuti in Calabria. In questa regione i DEM sono risultati il primo partito. 
Per la prima volta, dunque, dopo diverse tornate  elettorali, il Partito Democratico è tornato a vincere una competizione elettorale. 

Quello che è uscito dalle ultime consultazioni elettorali per i DEM è, dunque, uno spiraglio per costruire l’alternativa alla destra. Insomma, prigioniero dei cespugli, delle correnti, dei ricatti e delle tattiche di corto respiro, delle minacce (promesse e realizzate) di scissioni, il PD è tornato a respirare. L’ha fatto anche grazie all’ossigeno fornitogli delle “Sardine”, un inedito moto di popolo, anti-populista e per di più formato prevalentemente da giovani. A ben vedere, questo frizzante movimento è risultato un contributo fresco per l’intera sinistra.

Sul versante della Lega invece, dopo queste ultime consultazioni regionali e i recenti sondaggi, Salvini è costretto a fare un’analisi critica della sconfitta. Tra crescenti, anche se ancora timidi, malumori provenienti dall’interno del partito (che ancora perdurano dalla debacle estiva che portò alla formazione del governo Conte II) e quelli più fermi e rumorosi degli alleati della coalizione di centrodestra (critici sia sulla candidatura della Borgonzoni che sulla conduzione della campagna elettorale),  il leader del “Papeete” dovrà quanto prima dimostrare che la scalata verso la conquista delle “regioni rosse” è solo stata rinviata e che l’ondata sovranista non si è arrestata. 

La prima occasione, dunque, sarà proprio in Toscana. Qui la Lega non può permettersi di arretrare. Per questo non può rinunciare ad un suo rappresentante come candidato governatore. In questa regione Salvini, infatti, non può perdere senza vedere fortemente ridimensionato il suo ruolo indiscusso di leadership della coalizione di centrodestra anche a livello nazionale.

di Sonia Modi
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